giovedì 6 ottobre 2011

Barletta siamo noi


Oggi si sono svolti a Barletta i funerali delle quattro donne morte pochi giorni fa, a causa del crollo dell’edificio in cui lavoravano.  Con loro è morta anche una bambina di quattordici anni, figlia dei titolari di questo maglificio in cui si lavorava al nero per 4 euro l’ora. Pochi giorni prima era stato fatto un sopralluogo nello stabile dai vigili del fuoco e dai tecnici del comune con il quale si era stabilito che, nonostante le evidenti crepe e gli scricchiolii, l’edificio non era in pericolo. 

In un’intervista una delle operaie sopravvissute dice che il problema non è il lavoro nero perché “di lavoro nero non si muore” e che la sua preoccupazione non è quella di prendere poco o al nero, ma di non prendere niente e non poter sfamare i propri figli.

Barletta è il simbolo della tragedia di un paese, il nostro paese, in cui c’è una completa rassegnazione sociale e in cui si scende a qualunque compromesso pur di guadagnare anche solo un euro all’ora. Di lavoro nero si muore eccome, lo dimostrano tante statistiche, perché dove c’è il lavoro nero non ci sono controlli e non ci sono regole a cui deve sottostare il datore di lavoro.
Barletta siamo noi, noi che ci accontentiamo, noi che ci rassegniamo, noi che ci facciamo sfruttare, noi che non riusciamo neanche ad ammettere che un edificio in cui nelle crepe si può infilare una mano sia da evacuare.

Oltre che andare ad aggiustare quei 2500 edifici presenti in tutta Italia in condizioni di scarsa sicurezza, oltre che impegnarsi per far assumere legalmente quei 3 milioni di lavoratori al nero che ci sono nel paese, dovremmo forse anche cambiare modo di pensare e imparare a ribellarci e a dire no a chi vuole lucrare sulla nostra pelle. Se semettessimo tutti di accettare l'inaccettabile, non oserebbero più proporcelo.

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