mercoledì 4 maggio 2011

Teniamoci la faccia



Vivendo in una città come Milano, profondamente esteta e, che lo si voglia ammettere o no, molto attenta alla bella “superficie” di cose e persone, mi capita spesso di incontrare per le strade del centro donne di un’età indefinibile estremamente somiglianti le une alle altre: sopraciglia disegnate dal trucco semipermanente, piccoli nasi rotondi, labbra a “canotto”, capelli lunghi e lisci che ricadono su un corpo magro e palestrato. 


Se ne incontrano a decine, quasi sempre vestite allo stesso modo, al punto che ci si chiede se non ci sia una fabbrica di donne dalla quale queste bamboline escano prodotte in serie, come le famose Barbie con cui tutte quante abbiamo giocato da bambine.  “Fabbrica di donne”, ecco che anche io con questa espressione cado nell’inganno: anche io rischio di dimenticarmi che sono donne, che vivono, pensano e amano esattamente come tutte le altre.  

Ma da cosa dovremmo capirlo? Questi volti tirati e modificati dalla chirurgia estetica ormai non riescono a mostrare più niente che appartenga all’anima della donna che vi sta dietro.  Più di 40 muscoli della nostra faccia danno origine a ben 10000 espressioni facciali: 10000 sfumature dei nostri pensieri e delle nostre sensazioni.  Ma una faccia rifatta e “contraffatta” perde questa possibilità. Quando ci si relaziona a una di queste donne non si capisce bene se sia imbronciata, allegra, triste o innamorata. Si ha la sensazione di parlare con una maschera. Ma come faranno queste donne a esprimere i loro stati d’animo usando solo le parole? Non diventa più difficile la comunicazione con gli altri, senza poter usare veramente la faccia?

Ma c’è uno scopo ben preciso che ha spinto queste donne a barattare la propria faccia con la maschera:  il bisogno impellente, insopprimibile, di cancellare le proprie rughe.
Eppure, anche quelle, non parlano forse di noi? Non servono a far capire meglio chi siamo, da dove veniamo e cosa facciamo? Perché negarle? Cancellando le rughe non cancelliamo forse una parte di noi stesse, quella parte della nostra vita, delle nostre esperienze, delle nostre gioie e sofferenze, che è anche contenuta proprio nei nostri anni e nelle nostre rughe?       

Se avessi potuto, qualche anno fa, anche io avrei cambiato la mia faccia. L’avrei resa più dura, più sicura di se stessa e più determinata, per poter apparire più forte ai colloqui di lavoro e poter scoraggiare quei fraintendimenti e “sfruttamenti” lavorativi che poi ci sono stati. Ma adesso, a distanza di anni, sorrido a ripensarci. Si può cambiare veramente quello che si è dentro modificando solo la propria faccia? O non è proprio grazie a quella faccia, quella e solo quella che abbiamo, che la nostra anima può fare quel percorso di evoluzione che ci porta a diventare individui migliori, proprio attraverso le sofferenze, le fregature e l’inevitabile tempo che passa? E perché dobbiamo rinunciare a mostrare agli altri il risultato che un lavoro così importante ha prodotto sulle nostre facce?       

Che abbia rughe, difetti, occhiaie, borse o cicatrici, è giusto che la nostra faccia rimanga lì, così com’è. Unica e irripetibile. Una delle poche cose veramente nostre.  

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