Quale cavolo di idea c’è dietro
quella pubblicità? Quale obiettivo, quale messaggio? Cosa c’entra il corpo nudo
di quella donna? Queste domande negli ultimi anni se le stanno facendo molte donne
italiane. Stanno nascendo, soprattutto sul web, gruppi di donne che riflettono sull’uso
improprio del corpo della donna che viene fatto in pubblicità e ne traggono considerazioni
agghiaccianti. Corpi nudi di donne associati a prodotti con cui non hanno
niente a che fare, donne in posizioni innaturali e volgari, donne trattate come
oggetti per smerciare altri oggetti.
Esempi di questa follia si trovano,
tra gli altri, sul sito “Non chiederci la parola”, creato da un gruppo di
professioniste della comunicazione che realizzano settimanalmente dei video in
cui commentano fotogramma per fotogramma l’assurdità di alcune campagne pubblicitarie.
L’ultima che hanno preso in
considerazione, ad esempio, è quella del latte Zappalà che mostra il bel volto
truccato di una ragazza in primo piano che viene improvvisamente spruzzato da
un liquido bianco che le entra nel naso e nella bocca, fino a farle contrarre
il viso in una smorfia rassegnata. Chi le ha gettato questo liquido in faccia? E,
soprattutto, perché? Alla fine compare a destra del suo volto l’immagine del
latte e la frase “Allattatevi”. Che vuol dire? Che bisogno c’era di spruzzare
questa donna in questo modo per vendere il latte?
Ben peggiore è la campagna
pubblicitaria del primo profumo maschile di Tom Ford in cui le immagini hanno
uno stile esplicitamente pornografico: la boccetta di profumo, appuntita,
rappresenta l’organo genitale maschile e viene posto nelle parti intime del
corpo nudo di una donna, creando un effetto né femminile né virile, ma facendo
apparire la donna come una bambola di plastica, come un oggetto su cui incastrare
un altro oggetto…
Gli esempi si sprecano, sia in
televisione che sui giganteschi cartelloni pubblicitari che tappezzano le
nostre città.
Per fortuna, però, le donne italiane
non sono più spettatrici passive e inconsapevoli. Hanno cominciato a prendere coscienza dell’uso violento e sessista di molte immagini e hanno cominciato a inondare
di mail di protesta e di lettere sia lo IAP (Istituto di Autodisciplina
Pubblicitaria) che le aziende promotrici di queste campagne, raggiungendo
spesso il risultato della loro rimozione.
Tuttavia, in Italia ancora non c’è
una legge che vieti in pubblicità di sovraesporre e strumentalizzare in modo indecente
il corpo nudo della donna, sebbene sia ormai stato appurato che questo tipo di
immagini, oltre che ledere la dignità della donna, alimentano gli atti di violenza
su di essa.
Nel 2007, ad esempio, uscì una campagna
di Dolce e Gabbana in cui si vedeva una donna a terra con davanti un uomo che
stava chiaramente per abusare di lei e intorno altri quattro uomini che
osservavano la scena indifferenti. Se in Spagna l’azienda fu subito denunciata
e costretta a togliere questi cartelloni dai muri delle città, in Italia si dovettero
muovere innumerevoli associazioni, facendo molta fatica a raggiungere lo stesso
risultato. Se creativi, pubblicitari e aziende sono del tutto insensibili al
problema, la legge italiana è estremamente permissiva verso questo tipo di
immagini. Anzi, l’Italia è il paese più arretrato dell’Europa in tal senso.
Un interessante rapporto dell’EASA (European
Advertising Standards Alliance) del maggio del 2008 mette a confronto le
diverse legislazioni e i regolamenti di autodisciplina pubblicitari in vigore in
Europa con particolare riferimento al discriminazioni di genere e questa è la
situazione che ne emerge:
in Austria, oltre ad un organismo di autocontrollo, c’è una “Legge per il trattamento paritario” che stabilisce, tra le altre cose, che non si possono usare parti nude del corpo femminile per pubblicizzare prodotti che non siano direttamente correlati;
in Austria, oltre ad un organismo di autocontrollo, c’è una “Legge per il trattamento paritario” che stabilisce, tra le altre cose, che non si possono usare parti nude del corpo femminile per pubblicizzare prodotti che non siano direttamente correlati;
in Belgio vigilano
addirittura due autorità, una per la lingua francese e una per il fiammingo. La
legge richiede una particolare attenzione ai messaggi dove si usa il corpo
umano senza alcun legame oggettivo e soggettivo con il prodotto
commercializzato. Lo stesso concetto appare nella legislazione ceca, in quella finlandese e in
quella slovacca;
in Francia si dedica
un intero capitolo agli stereotipi sessuali, di genere e razziali e si scrive
esplicitamente che la pubblicità non può ridurre la persona umana, e in
particolare la donna, a un oggetto;
riferimento al
genere fanno anche i codici di autocontrollo in Germania, Ungheria e Irlanda, mentre in
Polonia
e in Olanda
si proibiscono in modo sommario discriminazioni tra uomo e donna nella
rappresentazione commerciale del corpo umano.
La legislazione più
avanzata è quella svedese,
dove si proibisce in maniera esplicita la visione vecchio stile dei ruoli
sessuali e si condannano gli stereotipi.
In Gran Bretagna ci
sono ben 3 enti preposti al controllo preventivo dei messaggi: uno per la
stampa, cinema, mail e media in generale, uno solo per la televisione e uno
solo per la radio.
Ma un discorso a sé merita la Spagna
dove la pubblicità sessista è illegale e la proibizione è inserita nella legge che
si intitola “Misure di prevenzione contro le violenze di genere”. Si tratta della
prima legge fatta approvare dal leader socialista Zapatero il 28 dicembre 2004!
Ma noi, in Italia, non abbiamo un presidente
del Consiglio di tale levatura. Il suo primo pensiero, salito al potere, non è
stato quello di fare una legge contro la violenza sulle donne ma quello di esportare
il bunga bunga in Parlamento.
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