venerdì 8 luglio 2011

Le operaie Omsa ci provano col teatro


Il 25 e 26 giugno scorsi si è svolta a Genova la storica conferenza “Punto G, Genere e Globalizzazione”, un incontro a cui hanno partecipato numerose donne, sia tra le relatrici che nel pubblico, e durante il quale è emerso come, sia nel mondo musulmano che in quello occidentale, le donne subiscano ancora forti differenziazioni di genere che le vedono sempre svantaggiate nella politica, nel lavoro, nella famiglia.  

Ma ciò che mi ha colpita maggiormente  è stata l’inaspettata performance teatrale di alcune delle operaie della Omsa, la famosa azienda di calze di Faenza che improvvisamente, nonostante gli affari andassero bene, ha deciso di chiudere in Italia e di spostarsi in Serbia, dove la manodopera costa meno, lasciando a casa 347 operaie.
Dopo aver provato a denunciare inutilmente questa ingiustizia su qualche giornale e in qualche programma televisivo, le operaie della Omsa hanno deciso di ripartire dal basso, sensibilizzando le persone comuni, direttamente per strada.
E così, dopo un breve laboratorio teatrale tenuto dalla compagnia italiana “Teatro dei due mondi” e quella francese “Theatre de l’Unitè”, è nato qualche mese fa uno spettacolo estremamente coinvolgente dal titolo “Al lavoro!”, che comincia proprio con le donne Omsa che marciano come tanti soldatini vestiti di rosso per strada al grido di “Omsa, Omsa” per lasciare senza fiato quando rompono improvvisamente le righe e corrono verso i presenti sussurrando all’orecchio “Aiuto”.  
A un certo punto della performance una di loro chiama ogni collega col megafono per nome e  cognome e le urla che è licenziata, finché non le vediamo cadere a terra una dopo l’altra. Anche questa è una scena che colpisce al cuore, perché sappiamo bene che quelle donne, in gran parte nel limbo della cassa integrazione ancora per qualche mese, non sono attrici, e quella drammatica notizia l’hanno davvero avuta e davvero ha ucciso una parte di loro.   
In un altro momento dello spettacolo assistiamo invece a una discussione tra le operaie e l’unico uomo presente nel gruppo - che interpreta proprio il proprietario della Omsa - sul problema della chiusura dell’azienda. Quando l’uomo giustifica il trasferimento del lavoro in Serbia con motivi di profitto, dicendo che mentre ciascuna di loro gli costa 900 euro al mese ogni operaia serba gli costerà 300 euro al mese, una delle operaie Omsa gli chiede “Ma che cosa hai al posto del tuo cuore, una calcolatrice?”. 

Quante volte sarà venuta in mente anche a noi una frase del genere, rivolta ai datori di lavoro o anche ai nostri stessi ministri che spostano numeri su tabelle di exel come se fossero noccioline, fregandosene della vita della gente che da quei numeri verrà completamente stravolta!  




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